8 Giugno 2016 - IM*Talks

Sharing is caring, ma non violare il copyright!

I social network fungono da raccoglitori di ricordi e rapporti umani, manifestati attraverso immagini, frasi e connessioni che rappresentano lo specchio delle persone che li alimentano.

Oltre ad essere considerati megafoni e palcoscenici, i profili personali vengono sfruttati per trasmettere le manifestazioni del sé spesso attraverso contenuti prodotti da altri. In aiuto le tante funzioni di condivisione che permettono di raccogliere e riportare sul proprio profilo anche i post di altri utenti, a dimostrazione di condividerne il pensiero. Versi, canzoni e citazioni di varia paternità, così come le vere e proprie idee degli altri possono facilmente diventare anche le nostre.

Condividere sì, rubare no!

Nell’immenso flusso di informazioni a cui siamo sottoposti, l’attenzione e la memoria diventano ultra selettive. Spesso l’autore assume un ruolo di secondo piano e l’importanza primaria viene trasferita sul messaggio. I like, le condivisioni e i commenti non sono più diretti alla persona che li condivide: il focus di chi legge è il messaggio condiviso, l’essere in accordo o in disaccordo con quel pensiero (Mi piace o non mi piace?).

Facebook e Twitter permettono di elaborare i contenuti portando con sé anche l’autore originario, ma gli utenti di frequente scelgono di cancellare questa informazione, di isolare il messaggio senza rivelarne la fonte. Certo, esiste anche il copia e incolla selvaggio che può anche manifestare una vera e propria scelta nel non rivelare la fonte originaria.

Mentre alcuni, Google in primis, valutano come negative le pratiche di copiatura in generale (il motore di ricerca dichiara di penalizzare i siti che riportano gli stessi contenuti e di premiare chi cita e inserisce il link alla fonte originaria), l’utente medio tende a non dare peso alle violazioni di copyright.
Capita di leggere blogger, vip e influencer di vari settori che acchiappano consensi attraverso la pubblicazione di frasi e freddure trovate in rete come fossero di produzione propria.

Plagio, questo sconosciuto

Queste pratiche non sono poi così lontane dal concetto di plagio:

Il plagio è definito come la parziale o totale attribuzione di parole, idee, ricerche o scoperte altrui a se stessi o ad un altro autore, a prescindere dalla lingua in cui queste sono ufficialmente presentate o divulgate, o nell’omissione della citazione delle fonti. Il plagio può essere intenzionale o l’effetto di una condotta non diligente. (dal Codice Etico dell’Alma Mater Studiorum – Art. 4.4)

modi per rendere esplicita una citazione ci sono: una cauta e consapevole formattazione del testo o l’utilizzo appropriato delle funzioni di condivisione e retweet previste dalle varie piattaforme. Ma alcuni scelgono ancora di parafrasare i contenuti rintracciati sul web, fingendo originalità. Ci sono anche numerosi metodi per essere facilmente smascherati, i quali sono ormai diffusi e conosciuti. Persino le università oggi si servono di software avanzati in grado di rintracciare delle somiglianze stilistiche tra testi differenti.
Per saperne di più o per inviare un’istanza d’intervento è possibile consultare il sito dedicato.

Violazione di Copyright 2.0

In ultima analisi, l’egoismo divagante finisce per svilupparsi anche nel mondo digital. Nell’era della condivisione è facile apprezzare chi condivide le proprie competenze a tal punto da fare da portavoce ai vari messaggi, senza tuttavia ricambiare in alcun modo o emulare il comportamento in occasioni future.

Impegniamoci per un mondo digital migliore

Ciò che tutti dovremmo spingerci a fare, senza mutare i nostri usi e costumi né rischiare di perdere autorevolezza e proseliti, è sì condividere, cercando parallelamente di informare chi legge specificando la fonte dei contenuti, contribuendo così alla diffusione dell’immagine e dei meriti di chi all’origine ha avuto ingegno e creatività.

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