Analytics
Tasso di rimbalzo: la metrica incompresa
11 Ottobre 2016
Cosa è il tasso di rimbalzo?
Qual è il tasso di rimbalzo ideale?
Perché il mio tasso di rimbalzo è alto?
Perché il mio tasso di rimbalzo è basso?
Queste sono solo alcune delle domande che ci poniamo o ci vengono poste inerentemente il tasso di rimbalzo nelle statistiche di Google Analytics. Siamo sicuri di conoscere le risposte giuste? E soprattutto, esistono le risposte giuste? Come spesso accade nel campo della Web Analytics, la risposta a domande di questo tipo è: dipende (già vedo alcuni di voi che alzano gli occhi al cielo).
A scanso di equivoci vi anticipo che:
Il tasso di rimbalzo non ha lo stesso valore per tutti i siti web.
Cosa è il tasso di rimbalzo?
Il tasso di rimbalzo è la percentuale di visitatori che rimbalza via da un sito, ovvero, visitatori che visualizzano una singola pagina senza interagirvi in alcun modo. Più semplicemente: visite di una sola pagina senza interazione da parte dell’utente.
Generalmente una visita con rimbalzo è vista come una scarsa User Experience o segno che il pubblico è fuori target.
Spesso sento dire: “magari l’utente ha trovato quello che stava cerando ed esce dal sito”. L’intuizione non è errata ma dobbiamo avere le prove.
In che caso le visite di una sola pagina sono accettabili?
Quando un visitatore interagisce con i nostri contenuti o completa un obiettivo per noi importante, poco importa se abbia visto una o più pagine: ha effettuato un’azione di valore.
Su un blog ad esempio, potremmo valutare proficue visite di una pagina quando un utente:
- lascia un commento;
- condivide l’articolo;
- si iscrive alla newsletter;
- vota l’articolo;
- clicca su uno dei nostri profili Social;
- va su uno dei nostri siti partner attraverso banner;
- clicca su un banner pubblicitario;
- ci contatta tramite un widget presente nel footer;
- scarica un PDF;
A patto che vengano correttamente tracciate, le visite di una pagina che si concludono con l’inserimento di un commento o l’invio di un form, non vengono considerate da Google Analytics ai fini del calcolo del tasso di rimbalzo. Questo perché si tratta di precise azioni di engagement che abbiamo espressamente deciso di considerare come tali.
Da questo è facile capire che per analizzare correttamente il traffico di un sito web è importante tracciare tutte le azioni compiute dall’utente e tradurle in eventi (per capire cosa e come tracciare leggi come tracciare eventi e obiettivi con Google Analytics).
Adjusted Bounce Rate
L’Adjusted Bounce Rate permette di modificare il calcolo del tasso di rimbalzo in funzione delle azioni-utente che vengono tracciate. Ci ritroveremo di fronte ad un migliore e più preciso calcolo della permanenza media perché, ad ogni evento, Google Analytics sa che l’utente si trova ancora sulla pagina nella quale è atterrato.
Un altro approccio per calcolare in maniera più accurata il tempo medio di permanenza degli utenti, che però non è legato ad una precisa azione dell’utente, è quello di inserire un evento che scatta in automatico ad esempio ogni 30 secondi.
Ma attenzione a non abusare di questi eventi temporizzati perché, a patto di non usare non-interaction true (tasso di rimbalzo e tempo di permanenza non vengono modificati quando usiamo i non interaction events), andrebbero a creare una visita senza rimbalzo solo perché l’utente è rimasto sulla pagina più di 30 secondi.
Consiglio di utilizzare gli eventi temporizzati solo come non interaction event per meglio segmentare le nostre visite.
Ecco come implementare gli eventi “temporizzati”:
setTimeout("ga('send', 'event', '30_seconds', 'read')",30000);
Un caso pratico di utilizzo di Adjusted Bounce Rate
Ultimamente ho lavorato per un magazine online che registra svariati milioni di pagine viste mensili e ho avuto modo di toccare con mano ciò che oramai è sotto l’occhio di tutti: nell’editoria online i Social Network (Facebook in primis) veicolano una notevole quantità di traffico caratterizzata da un alto tasso di rimbalzo.
È necessario fornire a questo traffico un contesto ben preciso e dare un significato alla percentuale del tasso di rimbalzo.
Analizzando il rapporto di Google Analytics frequency e recency, per il segmento di pubblico Sessioni con rimbalzo, ho trovato:
I sei milioni di utenti che hanno avviato una sola sessione sembrano appartenere principalmente ad utenti con navigazione anonima o cookie cancellati. Scorrendo in basso la tabella troviamo oltre 8 milioni di sessioni di utenti con rimbalzo che però tornano più di nove volte.
Possibile che tutte queste visite siano da parte di gente che mostra insoddisfazione?
La risposta è ovvia: no.
Questo magazine online vive e si nutre di visite con rimbalzo. Si tratta visite di fondamentali per il suo core business perché fatte da utenti che condividono, commentano e cliccano sui banner pubblicitari.
L’utilizzo dell’Adjusted Bounce Rate in questo caso è di vitale importanza per un’analisi precisa che sia aderente alla “vita reale” del sito web.
Davvero vogliamo ancora relegare questo tipo di visite nel calderone delle “visite con rimbalzo che non servono”?
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