17 Luglio 2014 - IM*Talks
Il diritto all'oblio sul web: c'è, ma non si vede?
Dal 13 maggio 2014 è entrato in vigore un nuovo principio per tutti i cittadini europei: “il diritto all’oblio sul web”. La Corte di giustizia dell’Unione Europea, a margine di una sentenza, ha dichiarato: “i motori di ricerca sono responsabili del trattamento dei dati personali che appaiono sulle pagine web pubblicate da terzi”.
Ma cosa significa esattamente e come siamo arrivati a questo punto? Procediamo in ordine cronologico: nel 2009 un cittadino spagnolo, l’avvocato Mario Costeja, si accorge che digitando il suo nome su Google compare una vecchia nota legale pubblicata da un quotidiano locale, in cui erano presenti alcuni suoi debiti del passato.
Mario prende subito i contatti con il quotidiano in questione per la cancellazione della nota e contemporaneamente si rivolge a Google per la rimozione del link dalla SERP. Visto il rifiuto da parte di entrambi decide di recarsi direttamente all’AEPD, l’agenzia spagnola di protezione dei dati personali, la quale impone alla società di Mountain View la dismissione del link.
Il colosso americano decide di far ricorso presso la Corte di Giustizia Europea: quest’ultima si esprime a favore del cittadino spagnolo e addirittura verso tutti quei cittadini europei che vogliono tutelare la loro privacy nel web.
A quel punto Google corre velocemente ai ripari e pochi giorni dopo la sentenza pubblica il modulo per la rimozione di informazioni “inadeguate o non rilevanti”. Qualunque utente del web ha dunque la possibilità di richiedere l’eliminazione dei dati personali presenti online. In questo modo, dopo una verifica e l’approvazione di Google, tali informazioni non verranno più restituite nelle ricerche, ma allo stesso tempo non viene garantita la loro eliminazione dal server in cui risiedono. Ciò significa che digitando l’url (o attraverso link presente su siti terzi), il contenuto continuerà ad essere raggiungibile.
Il dibattito è aperto: l’eterna lotta tra il diritto di privacy e quello di informazione. Da un certo punto di vista i motori di ricerca potrebbero sostituire giudici e garanti della privacy: chi decide veramente quando un diritto debba essere tutelato a discapito di un altro?
Sul modulo di cancellazione Google dichiara: “A fronte di una tale richiesta, eseguiremo un bilanciamento tra il diritto alla privacy della persona e il diritto di rendere accessibili le informazioni. Nel valutare la richiesta considereremo se i risultati includono informazioni obsolete sul richiedente e se le informazioni sono di interesse pubblico. Ad esempio, potremmo decidere di non rimuovere determinate informazioni che riguardano frodi finanziarie, negligenza professionale, condanne penali o la condotta pubblica di persone che ricoprono incarichi nell’amministrazione pubblica”.
Il diritto d’informazione dovrebbe essere salvo, ma è legittimo chiedersi su quali basi Google deciderà se un personaggio, pubblico o meno, potrà richiedere la cancellazione di alcuni dati presenti online, quali saranno i tempi e se effettivamente ogni diatriba legale potrà essere risparmiata…o addirittura alimentata.
Il colosso americano si trova di fronte a un tema spinoso e ha quindi costituito un comitato consultivo esterno e indipendente da Google (composto da esperti provenienti dal mondo accademico, dell’informazione, dal settore della tecnologia e garanti della privacy) che sarà chiamato ad esprimersi in caso di richieste di rimozioni particolarmente difficili, come le condanne penali, recensioni negative sui professionisti, ex-politici che richiedono la rimozione di articoli che criticano il loro operato e così via. Essendo il diritto all’oblio un tipo di azione manuale è assai probabile che di fronte ad una richiesta di rimozione faccia poi seguito una reale ricerca online della commissione o degli addetti coinvolti. Chissà, potrebbero verificare anche attraverso altri tipi di informazioni, come i blog o addirittura il profilo Google Plus: è solo una piccola provocazione, al momento nessuno sa con esattezza come verranno gestiti tali “processi”.
Ciò che sappiamo è che ora Google mostra in SERP, come mostrato nel printscreen che segue, se ciò che è stato visualizzato è frutto di filtri derivati da richiesta di diritto all’oblio.
Viene quasi da chiedersi se sia una ripicca: la Corte Europea garantisce la privacy del cittadino, ma non impone (ancora) a Google di avvertire l’utente se si sta facendo in qualche modo “censura”. In questa maniera l’utente sa che il personaggio (o magari un giorno il brand) ricercato online ha utilizzato il “diritto all’oblio” e allora potranno scattare altri tipi di domande, scenari e interessanti valutazioni.
È evidente che il diritto all’oblio è un tema complesso e delicato, che interessa tutte le parti in gioco: da un lato i cittadini privati e il diritto di privacy e dall’altro la società civile e il diritto d’informazione. Gli interrogativi sono tanti ed è tanta la curiosità su come Google e il Comitato di esperti internazionali si muoveranno sulle richieste di rimozione dei link ai contenuti lesivi.
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